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1° Congresso Nazionale Progetto Diabete
Diabete e Ricerca
 
CASO SARDEGNA: LABORATORIO “VIVENTE”
SUL DIABETE MELLITO TIPO 1
Marco Songini
 
Struttura Complessa di Diabetologia – Ospedale San Michele
Azienda Opsedaliera “G. Brotzu” - Cagliari
 
Introduzione
Il diabete mellito insulino-dipendente (IDDM) rappresenta una delle più gravi forme cliniche di diabete mellito. La malattia colpisce prevalentemente i bambini e gli adolescenti, ma non è rara la sua comparsa in età adulta e senile . L’eziologia della malattia resta ancora in gran parte misconosciuta, anche se è ampiamente accettato che l’origine del disturbo sia multifattoriale, particolarmente legata ad un’interazione
fra predisposizione genetica da una parte e fattori ambientali dall’altra . Ne consegue lo sviluppo di una risposta autoimmunitaria, soprattutto mediata da linfociti T autoreattivi, che alla fine determina la distruzione delle cellule beta insulari del pancreas. È oggi noto che particolari combinazioni genetiche degli antigeni HLA possono contribuire al rischio di sviluppare la malattia, così come sono state definite nei particolari le lesioni anatomopatologiche che si evidenziano nelle isole pancreatiche al momento della diagnosi, ma resta tuttora insoluto come si inneschi,
e soprattutto che cosa determini, l’inizio dell’aggressione autoimmunitaria. L’attacco autoimmune può iniziare anche diversi anni prima della manifestazione clinica della malattia. Infatti, le indagini eseguite in ampie coorti di parenti di primo grado di pazienti affetti da IDDM, di gemelli omozigoti ma discordanti per la malattia, di casi
con patologia endocrina autoimmune e di bambini in età scolare, hanno dimostrato la presenza di anticorpi anti-isola pancreatica ICA, determinati con la classica tecnica dell’immunofluorescenza indiretta, prima della manifestazione clinica della malattia.
 
Successivamente sono stati individuati nuovi autoanticorpi anti-isola pancreatica, che sono risultati essere ulteriori marcatori sierologici predittivi della malattia. Fra questi vanno ricordati gli autoanticorpi anti-insulina (IAA), gli autoanticorpi anti-GAD (GADA) e gli autoanticorpi contro gli antigeni triptici insulari di 37kD/40kD; più recentemente, è stato dimostrato che questi due ultimi antigeni appartengono alla
famiglia delle proteine tirosina-fosfatasi, e denominati rispettivamente IA-2b (ofogrina) e IA-2ic.
 
Come già accennato, il rischio di sviluppare l’IDDM è strettamente associato a ben definiti alleli dei geni che codificano le molecole HLA, un dato confermato anche a livello molecolare . In linea generale, più del 90% dei bambini di razza caucasica affetti da IDDM posseggono gli aplotipi HLA-DR3 e/o HLA-DR4, mentre l’aplotipo HLA-DR2 è raramente presente e rappresenta così un allele di protezione.
 
Successivi studi hanno dimostrato un’ancora più stretta associazione fra la malattia e gli alleli DQ del complesso HLA, e precisamente la combinazione di arginina in posizione 53 del DQA1 (DQa 53-Arg) e l’assenza di acido aspartico in posizione 57 del DQB1 (DQb57-non-Asp), determinerebbero un rischio ancora più alto per l’insorgenza di IDDM. A questo riguardo è importante sottolineare che questo tipo di combinazione è frequentemente presente nella razza caucasica, ma solamente una piccola frazione di essa sviluppa l’IDDM.
In merito alla relazione fra fattori ambientali ed IDDM, resta da confermare se virus comuni, quali i Coxsakie, il CMV, etc., possano giocare un ruolo rilevante nell’eziologia della malattia, anche se recentemente è stato segnalato che i virus Coxsakie sarebbero dei potenziali agenti causali, almeno nella prima infanzia. È stato anche ipotizzato che alcuni virus appartenenti alla famiglia dei virus lenti
potrebbero indurre la risposta autoimmunitaria contro le beta cellule pancreatiche.
Alcuni dati ottenuti su altre malattie autoimmuni, come ad esempio la malattia di Basedow, la sindrome di Sjögren, l’artrite reumatoide e, più di recente, la cirrosi biliare primitiva tenderebbero a sostenere quest’ultima ipotesi, ma sono necessarie ulteriori conferme. Allo stesso modo, restano da approfondire gli studi riguardanti il ruolo che i superantigeni potrebbero svolgere nella patogenesi dell’IDDM con alcuni
studi che indicherebbero un possibile coinvolgimento di particolari retrovirus endogeni ed altri che però non hanno potuto confermare questi dati.
 
La inaspettata concordanza Finlandia-Sardegna per l’alta incidenza dell’IDDM in Europa
Nel 1989, la Comunità Europea iniziò a finanziare un progetto, il cui obiettivo era di definire il più accuratamente possibile gli aspetti epidemiologici dell’IDDM in diversi stati europei. Questo studio, chiamato all’inizio ‘EURODIAB-ACE’ (EUROpe and DIABetes-Aethiology of Childhood diabetes on Epidemiological basis) ed oggi ‘EURODIAB-TIGER’ (EUROpe and DIABetes-Type I Genetic Epidemiology Resource), è tuttora in corso e si prefigge di monitorare l’incidenza di IDDM in una popolazione di 30 milioni di bambini europei, di età compresa tra 0 e 14 anni, e di
studiare dettagliatamente gli aspetti genetici e immunologici tipici della malattia. Più recentemente, il limite superiore dell’età era stato esteso fino a 29 anni. I dati raccolti nel decennio in cui lo studio è stato condotto hanno continuato a confermare l’esistenza di un gradiente europeo Nord-Sud, con le più alte incidenze di IDDM rilevate in Finlandia e negli altri stati della penisola Scandinava, mentre le più basse incidenze sono riscontrate a livello dei Paesi che si affacciano sul Mediterrano.
Queste osservazioni si accordano con quelle che indicavano che l’incidenza di IDDM diminuiva progressivamente, anche globalmente, da Nord a Sud, con valori minimi registrati a livello dei paesi ubicati intorno all’Equatore. Cominciano però ad affiorare delle eccezioni a questa tendenza. Infatti, dati apparsi di recente hanno dimostrato che nel Kuwait, un’area geografica con bassa presenza di IDDM nel 1983,
l’incidenza della malattia è salita drammaticamente nella successiva decade.
 
Indipendentemente da queste nuove informazioni, il quadro europeo sembra mantenersi stabile, dove è stato stimato che i bambini finlandesi continuano ancora oggi ad avere un rischio di malattia 10 volte superiore a quello dei bambini greci.
Inaspettatamente, dallo studio Eurodiab-Ace, emerse, per la prima volta, che esisteva un’elevata incidenza di IDDM in Sardegna, un’isola che si trova nel mezzo della cosiddetta area ‘fredda’ mediterranea per la malattia, ed i cui valori si avvicinano però a quelli registrati in Finlandia.
Di un interesse particolare è anche l’informazione che l’incidenza dell’IDDM è andata progressivamente aumentando nell’isola a partire dalla metà degli anni 60’, il che suggerirebbe che, se si ipotizza una certa modificazione ambientale avvenuta all’interno dell’isola, tale cambiamento dovrebbe essere datato attorno al periodo della seconda guerra mondiale, tenendo conto del lungo periodo di latenza che,
sappiamo, precede l’esordio acuto della malattia. Incredibilmente, una simile ascesa nel tempo è stata anche registrata in Finlandia, dove l’incidenza dell’IDDM è progressivamente aumentata a partire dagli anni 70’ .
 
Il fatto che la Finlandia e la Sardegna siano ai vertici della drammatica piramide dell’incidenza dell’IDDM in Europa, pone certamente degli intriganti quesiti, a cui però non è facile dare una risposta. Di fatto, le popolazioni di queste due distanti aree geografiche sono geneticamente molto differenti, come dimostrato da studi volti a definire, attraverso la valutazione di numerosi marcatori genetici, le zone di insediamento delle varie etnie, sia dai loro movimenti migratori attraverso i secoli sia
dall’evoluzione delle loro caratteristiche linguistiche. A livello genetico, esistono anche differenze per quanto riguarda il profilo HLA. Sebbene la frequenza degli aplotipi DR3 e DR4 sia particolarmente alta sia in Finlandia che in Sardegna, il loro rapporto reciproco è invertito, essendo la prevalenza di DR4 dell’84% nella popolazione finlandese e del 44% in quella sarda, mentre per il DR3 la prevalenza è rispettivamente del 42% e del 73% . È importante sottolineare inoltre che il DR3 è riscontrabile nel 50% della popolazione sarda e solo nel 16% dei quella finlandese.
Anche riguardo al profilo delle combinazioni di altri aplotipi HLA collegati al rischio di IDDM esistono importanti differenze: mentre nella popolazione sarda le combinazioni più frequenti nei pazienti con IDDM sono A30-B18-DR3 e A2-B18-DR2 e DQ1, nei pazienti finlandesi le combinazioni maggiormente prevalenti sono A1-B8-DR3 e A2- B62-DR4 e DQ8. Come è stato precedentemente ricordato, la presenza di DR2
conferisce una protezione rispetto all’ IDDM e ad altre malattie autoimmuni (per esempio la malattia di Basedow) nella maggior parte della razza caucasica, inclusi i finlandesi. Tuttavia, la Sardegna rappresenta ancora una volta un’eccezione a questa regola, poichè questo tipo di allele è frequentemente riscontrabile sia negli individui con IDDM che con malattia di Basedow. Curiosamente, inoltre, all’interno dell’isola si riscontra un’eterogeneità nella distribuzione del DR2 cosicchè, se nella
popolazione che vive nel Sud dell’isola tale allele rappresenta un fattore di rischio di IDDM, in quella che vive nelle aree centro-orientali esso diventa un fattore di protezione. Riguardo al DBb57-non-asp, il 100% dei pazienti sardi con IDDM possedevano questo allele, rispetto al 73% di altri caucasici, al 74% degli americani di colore e al 5% dei giapponesi affetti dalla stessa malattia . Se si considera poi la condizione omozigote, DQa53-arg/ DQa53-arg-DQb57-non-asp/ DQb57-non-asp, che determina il massimo rischio di IDDM (diminuendo qualora altri aminoacidi siano
presenti nelle stesse posizioni), anche questa combinazione è stata rilevata con elevata frequenza della popolazione sarda. Va sottolineato, tuttavia, che tale combinazione allelica è frequentemente riscontrata anche in altre popolazioni che vivono alla stessa latitudine, ad esempio in Spagna, dove la prevalenza della malattia è però di gran lunga inferiore rispetto alla Sardegna.
 
Il progetto ‘IDDM-Sardegna’
Se la Finlandia e la Sardegna rappresentano le aree del mondo con la più alta incidenza di IDDM, chiaramente gli sforzi atti a comprendere l’eziopatogenesi della malattia non possono che concentrarsi in queste due aree. Da quasi una decade, il nostro gruppo di lavoro è impegnato in Sardegna. Storicamente, la Sardegna presenta una particolare omogeneità etnica che si è mantenuta nei secoli ed è difficilmente riscontrabile in altre regioni. L’isola quindi rappresenta un osservatorio epidemiologico unico, dove le dinamiche e gli eventi che portano all’insorgenza
dell’IDDM possono essere studiati approfonditamente. L’obiettivo principale del progetto era, e continua ad essere, quello di disegnare le mappa sia dell’incidenza dell’IDDM conclamato nell’isola che della prevalenza del pre-IDDM, con l’intento finale di individuare le relative aree ad alta e bassa frequenza collegate alla malattia.
 
A questo primo obiettivo, sono state successivamente inserite altre linee di ricerca, che si collegano allo studio dell’IDDM (es, lo studio del diabete gestazionale, lo studio degli emigranti sardi) e di altre patologie autoimmuni (es, la malattia celiaca e quella tiroidea autoimmune). In questa rassegna, riassumeremo lo stato dell’arte per quanto riguarda alcuni dei maggiori studi inseriti nel progetto ‘IDDM-Sardegna’, e
precisamente:
- la continuazione del Registro IDDM conclamato (The Eurodiab-Ace Project);
- lo studio dei bambini in età scolare;
- lo studio dei neonati;
- lo studio degli emigranti sardi;
- lo studio ecologico e ambientalistico;
- lo studio della malattia celiaca subclinica.
 
La continuazione del Registro IDDM conclamato (Eurodiab-Ace Project)
I dati raccolti finora continuano a indicare che l’incidenza di IDDM in Sardegna è più
elevata rispetto ad altre regioni italiane (es. Lombardia, Lazio e Sicilia orientale), le
quali mantengono i bassi livelli di incidenza già segnalati per l’area mediterranea in
generale (da 7 a 11 nuovi casi all’anno per 100.000 abitanti). Nella popolazione
studiata in Sardegna (da 0 a 29 anni d’età), l’incidenza di IDDM nel periodo 1989-94
è stata di 26 casi all’anno per 100.000 abitanti, ma aumentava fino a
35/100.000/anno se si consideravano i casi di età fra 0-14 anni. Interessante è il
dato che l’incidenza si è mostrato variabile nelle 4 province sarde. Nella fascia d’età
0-29 anni, l’incidenza di IDDM a Cagliari (CA) era di 28, a Nuoro (NU) e Oristano
(OR) di 26 e a Sassari (SS) di 21 casi/100.000/anno, mentre nella fascia d’età 0-14
anni le incidenze erano di 45 (OR), 38 (CA), 35 (NU) e 30 (SS) casi/100.000/anno. In
generale, si è osservata una prevalenza dell’IDDM nel sesso maschile nell’età 0-14
anni. Sebbene questi dati si allineano a quelli riportati in altri paesi ad elevata
incidenza della malattia (es, la Finlandia), non è facile spiegare la differente
distribuzione dell’incidenza di IDDM nelle 4 province sarde.
Un’analisi epidemiologica/statistica più approfondita, condotta con i metodi
bayesiani, ha evidenziato aree più ‘calde’ e aree più ‘fredde’ per l’incidenza
dell’IDDM nell’isola, anche se tuttavia va precisato che, nonostante questa
evidenziazione, non si è trovata una differenza statisticamente significativa tra le
aree più ‘calde’ e quelle più ‘fredde’ per l’IDDM conclamato. La ragione della
mancata significatività va ricercata nel fatto che l’incidenza della malattia nell’isola è
generalmente alta, ma va anche precisato che in alcune zone centro-occidentali
1° Congresso Nazionale Progetto Diabete – Genova 5-6 maggio 2006
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dell’isola la mappa d’incidenza ha presentato zone più ‘calde’ di quelle riscontrate in
Finlandia. Al momento, stiamo analizzando la distribuzione geografica dei casi
riportati nell’isola nel periodo 1994-98, da cui potrebbero emergere segnali di
spostamenti ‘ad onda’ dei nuovi casi di IDDM da un’area ad un’altra dell’isola, come
è stato già notato in Finlandia in un’analisi retrospettiva dei dati epidemiologici
raccolti sull’incidenza della malattia in quel paese (Akerblom H, comunicazione
personale).
Lo studio dei bambini in età scolare
Al fine di identificare le aree ‘calde’ di pre-diabete all’interno dell’isola, è stata
arruolata una coorte di circa 10.000 bambini provenienti dalle scuole elementari e
medie delle 4 province. La fase di reclutamento è iniziata nel 1986 nelle province di
CA, OR e NU, che hanno contribuito al 70% dell’intera coorte. Nel 1994 si è unita al
progetto anche la provincia di SS, che ha fornito così il rimanente 30%. A questo
proposito va ricordato che l’indagine sul territorio fu ufficialmente condotta per
ottenere dati epidemiologici e clinici sulla prevalenza del gozzo endemico e sul
grado di carenza iodica nei vari paesi visitati, e quindi non c’era alcun pregiudizio per
quanto riguardava la raccolta di dati non solo sull’IDDM, ma anche su altri tipi di
malattie autoimmuni e non.
In riferimento al pre-IDDM, in tutti i bambini partecipanti allo studio sono stati
determinati gli ICA e la loro prevalenza è risultata circa del 5 % (³ 5 JDF-u), la più
alta al mondo assieme alla Finlandia. Lo studio immunologico è stato inoltre
allargato al dosaggio dei GADA ed a quello degli IA-2icA . Al maggio 1998, in 8.448
bambini, provenienti da 36 paesi delle quattro province sarde, sono state misurate le
3 specificità autoanticorpali. Di questi, 2.080 provenivano da 7 paesi della provincia
di CA, 1.730 da 5 paesi di OR, 1.661 da 12 paesi di NU e 2.977 da 12 paesi di SS.
In CA (6.3%) ed in SS (5.2%) si sono registrate la più alte prevalenze di ICA i 5
JDF-u, rispetto a quelle rilevate ad OR (2.8%) ed a NU (3.4%), mentre CA, OR e SS
hanno mostrato la più alta prevalenza di ICA ³20 JDF-u (1.5%) rispetto a quella di
NU (0.5%). In SS si è registrata la più bassa prevalenza di GADA (1.0% vs OR=
2.4%, NU= 1.7% e CA=1.6%), mentre la prevalenza di IA-2icA è risultata più alta
nelle province di CA (1%) e di OR (1%) rispetto a quella di NU (0.5%) e di SS
(0.3%). La prevalenza di una combinazione di 2 o 3 autoanticorpi anti-isola
pancreatica è risultata più elevata nelle province di OR (1%) e di CA (0.8%) rispetto
a quella di SS (0.5%) e di NU (0.4%) (Figura 2). Inoltre, se nella combinazione di
autoanticorpi veniva considerata la presenza di ICA ³20 JDF-u, allora le differenze
fra le varie province si accentuano ulteriormente, essendo più elevate a OR (0.7%) e
CA (0.6%) rispetto a NU (0.1%) e a SS (0.2%).
In sintesi, il fatto di aver trovato le più alte prevalenze di combinazioni di
autoanticorpi anti-isola pancreatica nelle province di OR e di CA che, come emerso
dai dati dello studio Eurodiab-Ace, sono anche le 2 province con la più alta incidenza
di IDDM in Sardegna, ha permesso di identificare come sovrapponibili le aree a più
alta concentrazione di potenziali pre-diabetici e di diabetici conclamati nell’isola.
Dopo un periodo medio di follow up di 5.5 anni (range 3-11 anni), 18 bambini (7
maschi e 11 femmine) hanno sviluppato il diabete, con una latenza compresa fra 2
mesi e 5 anni, dal momento in cui erano entrati nello studio. A parte un caso,
nessuno di loro aveva familiarità per IDDM nel gentilizio di primo grado. Di questi, 6
provenivano dalla provincia di CA, 6 da quella di OR, 5 da quella di SS e 1 da quella
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di NU. A parte due casi, che erano risultati negativi per tutti e 3 gli autoanticorpi
quando analizzati all’entrata nello studio, i rimanenti 16 pazienti erano risultati
positivi per uno o più autoanticorpi, precisamente: 2 casi per 1 solo autoanticorpo, 8
casi per 2 autoanticorpi e 6 casi per tutti e 3 gli autoanticorpi determinati. Alla luce di
queste informazioni si è potuto calcolare la sensibilità, la specificità ed il valore
predittivo dei diversi autoanticorpi, sia presi singolarmente che nelle loro varie
combinazioni.
Dai dati si può evincere che:
1) gli ICA da soli , sia ³5 che ³20 JDF-u, e la combinazione di 2 o 3 autoanticorpi
sono i marcatori sierologici con la maggiore sensibilità;
2) a parte per gli ICA ³5 JDF-u e GADA presi singolarmente, gli altri marcatori e
le relative combinazioni hanno tutte un’elevata specifità (> 99%);
3) il migliore potere predittivo è dato dalla combinazione di ICA ³20 JDF-u con
IA- 2icA (34.5 %).
Lo studio finora condotto ha permesso di quantificare, per la prima volta, il rischio
relativo conferito dalla presenza di 3 dei 4 marcatori autoanticorpali dell’IDDM (gli
IAA non sono ancora stati determinati) per l’eventuale sviluppo della malattia in una
popolazione scolare non selezionata.
Per quanto riguarda un bambino sardo, qualora esso venga trovato positivo per 2 o
3 autoanticorpi al momento del primo dosaggio, il rischio di diventare diabetico
nell’arco di 6 anni è del 24.1%. Da questo si può dedurre che, a differenza dei casi
‘familiari’, dove il rischio conferito dalla stessa combinazione autoanticorpale è del
90% proiettato in 10 anni di osservazione, nei cosiddetti casi ‘sporadici’, senza cioè
familiarità per l’IDDM, la presenza di una simile combinazione autoanticorpale
determina apparentemente un rischio molto minore di sviluppare l’IDDM. Queste
osservazioni sono particolarmente intriganti, se si considera che questi dati sono
stati ottenuti in una popolazione che vive in un’area ad alto rischio per la malattia.
Esse inoltre rinforzano il concetto di eterogeneità dell’IDDM, per cui si deve
necessariamente ipotizzare che, nei casi sporadici, nuovi o aggiuntivi marcatori
autoanticorpali siano necessari per aumentare il grado di predittività del futuro
sviluppo della malattia.
Lo studio dei neonati
L’obiettivo di questa parte del progetto è di allargare l’identificazione degli individui
pre-diabetici e di indagare la storia naturale dell’IDDM fin dalla nascita, affrontando
l’analisi delle variabili immunologiche, genetiche e ambientali, che nell’insieme
contribuiscono a determinare l’elevata incidenza di IDDM in Sardegna. A questo
scopo, è previsto un reclutamento di 30.000 neonati, provenienti da 18 diversi centri
pediatrici dislocati nelle 4 pronvice dell’isola, ed un follow up annuo per la durata di 5
anni. Circa 19.000 bambini sono già stati arruolati nello studio ed in 15.000 di essi
sono stati dosati gli ICA a livello del sangue refluo dal cordone ombelicale (61). La
prevalenza di ICA per titoli ³5 JDF-u è stata del 2.3%, mentre per titoli ³ 20 JDF-u è
risultata dello 0.6%. Sono stati reclutati 2.959 bambini al primo anno, 1.148 al
secondo e 388 al terzo anno di vita. La prevalenza degli ICA ³5 JDF-u è
progressivamente aumentata, passando dal 0.18% del primo anno, al 0.78% del
secondo e al 1.80% del terzo anno di follow up. Nel primo e secondo anno, inoltre, si
sono evidenziati i GADA nello 0.6% e 1.5% dei sieri analizzati (rispettivamente, di
2.125 e di 399 bambini) e gli IA-2icA nello 0.1% e 1.3% (rispettivamente, di 2.117 e
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di 399 bambini). Al maggio 1998, 11 bambini, appartenenti alla coorte iniziale, hanno
sviluppato l’IDDM in un periodo variabile tra 15 e 33 mesi. Dei 9 bambini di cui
abbiamo i dati sierologici, solo 1 era ICA positivo alla nascita, mentre 3 erano
diventati positivi per almeno 2 autoanticorpi nei campioni di siero prelevati prima
della diagnosi, ed un altro, negativo nei campioni di siero dosati prima della diagnosi,
si positivizzò per i tre autoanticorpi quando sviluppò la malattia. Degli altri 2 bambini,
anch’essi positivi per 2 o 3 autoanticorpi al momento della diagnosi, non si
possiedono i dati serologici prima dell’esordio della malattia (non si sono presentati
al follow up). A questi dati si deve aggiungere che lo screening autoanticorpale ha
portato alla individuazione di 22 bambini che al primo anno di vita mostrarono
prevalentemente la presenza dei GADA e poche erano le eccezioni che avevano 2
autoanticorpi, misurabili nello stesso siero. Il successivo follow up ha però
evidenziato la comparsa aggiuntiva degli altri marcatori sierologici. Ad oggi, nessuno
di questi bambini ha sviluppato l’IDDM.
Dai dati finora emersi, si possono trarre le seguenti conclusioni, anche se preliminari:
1) i GADA tendono a comparire prima degli ICA e degli IA-2icA (non abbiamo
ancora misurato gli IAA, gli autoanticorpi che più frequentemente si
riscontrano nei bambini in tenera età);
2) tutti e 3 gli autoanticorpi aumentano sensibilmente la loro comparsa nel corso
degli anni;
3) in Sardegna, nel periodo della prima infanzia, si riscontra un’elevata
incidenza di IDDM associata ad una precoce ed elevata presenza di
autoanticorpi antiisola pancreatica.
Lo studio degli emigranti Sardi
Questo è uno studio il cui ultimo obiettivo è di valutare il ruolo della genetica, in
rapporto all’impatto ambientale, sull’incidenza dell’IDDM nella popolazione emigrata
dalla Sardegna. A questo proposito, abbiamo valutato la prevalenza di IDDM negli
emigranti sardi in provincia di Pavia, attraverso un’indagine che si è avvalsa di più
fonti di informazione per la sua validazione epidemiologica (questionari postali,
colloqui telefonici, archivi delle autorizzazioni per la prescrizione delle siringhe da
insulina dei Distretti Sanitari dell’A.S.L. di Pavia, etc.) . Dei circa 2.252 sardi residenti
in Pavia, 10 sono risultati diabetici (con una prevalenza del 4.4/1.000, che
standardizzata per età sulla popolazione italiana è risultata del 2.63/1.000). Tre di
essi avevano sviluppato l’IDDM prima di emigrare a Pavia, mentre negli altri sette la
malattia è insorta dopo l’insediamento nella nuova area geografica. Il dato che più ci
è parso interessante è che, mentre l’età media di insorgenza dell’IDDM dei 3 sardi
che hanno sviluppato la malattia quando ancora risiedevano in Sardegna era di 14
anni (±ds 2 anni), negli altri 7 la malattia si è manifestata ad un’età media
significativamente superiore (32.8 ± ds 8.2 anni). L’età di insorgenza della malattia,
in relazione all’età di emigrazione, indicherebbe un periodo di latenza più lungo negli
individui emigrati in età più giovane anche se, in ragione dell’esiguo numero di casi,
non è stata raggiunta la significatività statistica. Resta comunque confermato che,
anche negli emigranti sardi, la prevalenza di IDDM è significativamente più elevata
rispetto a quella riscontrata tra la popolazione italiana residente in altre regioni della
Penisola. La nostra analisi si estenderà presto a quantificare la prevalenza dell’IDDM
nei figli di famiglie con uno o entrambi i genitori sardi, per contribuire a chiarire così i
dati discordanti finora emersi in studi condotti in altre regioni italiane, dove è stata
1° Congresso Nazionale Progetto Diabete – Genova 5-6 maggio 2006
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segnalata sia una bassa prevalenza di IDDM, ad esempio in Piemonte, sia
un’incidenza sovrapponibile a quella registrata in Sardegna, come nel Lazio e in
Lombardia.
Lo studio ecologico e ambientalistico
È stato verificato l’impatto di alcuni fattori ambientali e la loro possibile connessione
con l’IDDM in Sardegna, tra questi:
1) l’impatto stagionale sull’insorgenza della malattia, dove si conferma
l’esistenza di picchi di incidenza in autunno ed in inverno, similmente ad altri
Paesi in cui lo stesso fenomeno è stato precedentemente studiato. Si
conferma inoltre che, anche in Sardegna, l’IDDM colpisce più il sesso
maschile di quello femminile;
2) l’effetto della temperatura, delle precipitazioni e del contenuto di nitriti/nitrati
nelle acque potabili. La provincia di SS che, come precedentemente
annotato, ha la più bassa incidenza di IDDM rispetto alle altre province sarde,
è risultata la più fredda e con più piovosità ed, inaspettatamente, con la più
alta concentrazione di nitriti/nitrati nelle acque potabili;
3) la non sovrapposizione fra aree ad alta incidenza di pregressa malaria,
talassemia e deficienza di G-6-P;
4) l’effetto dell’ingestione di latte vaccino (formula) rispetto all’allattamento al
seno.
L’indagine e’ stata condotta nella provincia di SS, ma non si è trovata alcuna
differenza tra i bambini poi diventati diabetici ed i due tipi di alimentazione assunti
nei primi mesi di vita.
Lo studio della malattia celiaca subclinica
Su circa 1.600 bambini in età scolare, provenienti da 7 paesi del nord della
Sardegna (provincia di Sassari), è stata condotta una valutazione serologica alla
ricerca degli autoanticorpi correlati alla malattia celiaca (AGA-IgG, AGA-IgA e AEA).
Nei bambini trovati positivi per una combinazione di 2 o 3 anticorpi associati al
rischio di sviluppare la celiachia, è stata effettuata anche un’indagine bioptica di
accertamento diagnostico. Come per l’IDDM, è emersa un’elevata prevalenza non
solo di una positività autoanticorpale celiaco-correlata, ma anche della stessa
malattia subclinica (10.5/1.000 individui in età compresa fra 6-14 anni), confermata
dall’aspetto di ‘mucosa piatta’ alla biopsia intestinale.
Gli obiettivi a lungo termine del Progetto ‘IDDM-Sardegna’
Combinando i risultati dello studio dei bambini in età scolare e dei neonati con i dati
forniti dallo studio Eurodiab-Ace, sarà possibile identificare non solo le ‘aree calde’ di
incidenza di IDDM, ma anche le ‘aree calde’ del pre-diabete, che
rappresenterebbero così le zone ad elevato rischio per lo sviluppo futuro della
malattia. Sarà solo a compimento dell’analisi epidemiologica, genetica e
immunologica che diventerà possibile chiarire la distribuzione ed il numero di tali
aree, e le eventuali fluttuazioni spaziali e temporali dell’insorgenza dell’IDDM.
Quando si disporrà di questi dati, verrà condotta un’indagine ecologica selettiva,
rispettivamente nelle aree ad alto e basso rischio di malattia e di pre-malattia, nel
tentativo di identificare quelli che potrebbero essere i fattori causali e/o promotori del
1° Congresso Nazionale Progetto Diabete – Genova 5-6 maggio 2006
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meccanismo aggressivo che si è instaurato nell’isola contro le beta cellule
pancreatiche.
Considerazioni generali
In Sardegna, dove vivono un milione e mezzo di abitanti, ci sono circa 220 nuovi casi
di IDDM all’anno, solo nella fascia di età 0-29 anni. Il numero totale si aggira su circa
10.000 pazienti con malattia conclamata, sparsi in tutta l’isola al di sotto dei 30 anni.
Se si considera poi che non si conosce la prevalenza di IDDM al di sopra dei 30 anni
e che il 15-20% dei casi di NIDDM sono in realtà casi di IDDM a lenta progressione
verso l’insulino dipendenza (vide infra), si può stimare che il numero di pazienti con
IDDM in Sardegna si aggiri attorno ai 15.000-20.000 casi. Combinando le proiezioni
sia dell’IDDM che del NIDDM, il numero sale a circa 50.000 unità. È facile quindi
dedurre come il diabete mellito in Sardegna stia assumendo i connotati di una
malattia epidemica.
L’eziologia dell’IDDM è tuttora ignota, e non è escluso che fattori esogeni possano
agire in stadi precoci della vita, addirittura durante la fase fetale. Restano ancora
argomento di discussione le ipotesi eziologiche legate ai derivati del latte vaccino in
corso di svezzamento e al ruolo dei virus Coxsakie nei soggetti con IDDM della
prima
infanzia . Tuttavia, non sono ancora disponibili dati che riguardano la storia naturale
dell’IDDM risalente dal momento della nascita e monitorata negli anni successivi ad
essa, e lo studio dei neonati in Sardegna aiuterà senz’altro a identificare la sequenza
e il tempo di comparsa dei vari autoanticorpi anti-isola pancreatica in una
popolazione ad elevato rischio della malattia. Insieme allo studio dei bambini in età
scolare, lo studio dei neonati offrirà l’opportunità di chiarire le differenze che ci
potrebbero essere fra ‘casi sporadici’ e ‘casi familiari’, e di sviluppare quindi accurati
e selettivi modelli di predizione e di prevenzione.
Vantaggi a lungo termine nella predizione e prevenzione dell’IDDM
Gli individui che risulteranno positivi ai vari autoanticorpi anti-isola pancreatica,
particolarmente se presenti in combinazione e quindi conferendo un più elevato
rischio di sviluppare l’IDDM, trarranno sicuramente beneficio da una diagnosi
tempestiva e da un precoce trattamento insulinico. In questo modo, sarà possibile
correggere e migliorare il grado di controllo glico-metabolico in tempi brevi ed
adeguati e quindi ridurre il rischio delle complicanze a lungo termine, tipiche della
malattia. Sarà inoltre disponibile una banca di sieri ed altro materiale biologico che
permetterà, sulla base dei dati e delle conoscenze che progressivamente
emergeranno, di condurre nuove e mirate ricerche volte all’identificazione di nuove
specificità autoanticorpali e al discernimento dei fattori eziologici dell’IDDM, e di
individuare e programmare nuove strategie di intervento preventivo. Da ultimo,
quando saremo in grado di identificare con precisione gli individui ad alto rischio di
IDDM, sarà possibile condurre nuovi e mirati trials di prevenzione (es, l’utilizzo di
nicotinamide, di insulina o l’esclusione delle proteine del latte vaccino nei primi mesi
di vita). Questi trials sono già stati avviati in altri centri di ricerca ed i risultati
dovrebbero apparire nei prossimi 2-3 anni. Qualora i risultati saranno soddisfacenti,
ci troveremo in una situazione ideale per applicare un’efficace e sicura terapia
preventiva su una popolazione selezionata e ad elevato rischio di IDDM come in
1° Congresso Nazionale Progetto Diabete – Genova 5-6 maggio 2006
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Sardegna. In altre parole, saremo in grado di pianificare, per la prima volta e in tempi
brevi, una reale strategia preventiva della malattia diabetica.
Autoimmunita’ e diabete mellito non-insulino dipendente
Come è stato a più riprese precisato, è ormai ampiamente riconosciuto che i
meccanismi patogenetici dell’IDDM sono riconducibili ad un processo autoimmune
che, da ultimo, esercita il suo deleterio effetto contro le beta cellule delle isole
pancreatiche. L’attacco inizia spesso diversi anni prima dell’esordio della malattia
conclamata e può essere monitorato attraverso la determinazione e la successiva
valutazione predittiva degli autoanticorpi anti-isola pancreatica (ICA, IAA, GADA, IA-
2icA e IA-2b). Tale processo si verifica più frequentemente, ma non esclusivamente,
in età giovanile. Infatti, non è raro porre la diagnosi di IDDM anche in soggetti in età
adulta o senile. Tuttavia, la forma di diabete mellito tipica di queste due ultime fasce
d’età è rappresentata dal NIDDM dove, nella maggior parte dei pazienti, la
produzione endogena di insulina è conservata, o addirittura aumentata, e
l’iperglicemia è riconducibile a difetti di interazione recettoriale a livello dei tessuti
periferici. Purtuttavia, è esperienza dei diabetologi che in una percentuale di pazienti
con NIDDM, dopo mesi o anni di trattamento dietetico e/o con ipoglicemizzanti orali,
si verifica una graduale compromissione della funzione beta cellulare e il controllo
glico-metabolico può essere ripristinato solo con la somministrazione di insulina,
come in corso di IDDM. È stato quindi ipotizzato che, in questi casi, il NIDDM
potesse essere riconducibile a una forma di IDDM a lenta evoluzione, chiamata a
volte ‘latente’, ‘di tipo 1/2 o ‘diabete autoimmune latente dell’adulto’ (LADA),
caratterizzata anch’essa dalla presenza dei marcatori autoanticorpali tipici dell’IDDM.
Risalgono alla fine degli anni 70’ le prime segnalazioni al riguardo, quando si
evidenziò che alcuni pazienti con NIDDM possedevano gli ICA . La caratterizzazione
di questo tipo di pazienti e, soprattutto, il tentativo di individurali precocemente
all’interno della popolazione affetta da NIDDM, diventatarono così una delle nuove
sfide della diabetologia dell’ultimo decennio. Uno dei dati che successivamente
emerse era che, fra i pazienti con NIDDM che necessitavano di un trattamento
precoce con insulina, la prevalenza degli ICA e/o degli alleli DR3 e DR4 era più
elevata rispetto a quei pazienti, sempre con NIDDM, che continuavano invece un
trattamento non-insulinico. Quando poi entrambi questi fenomeni erano presenti
contemporaneamente nello stesso paziente, era possibile documentare una precoce
compromissione della sua funzione beta cellulare pancreatica. Praticamente, per la
prima volta, venivano individuati, anche in una proporzione di pazienti con NIDDM,
gli stessi fattori di rischio già ampiamente documentati nell’IDDM.
La scoperta dei GADA diede un ulteriore impulso in questa direzione, in quanto si
intuì che, come per gli ICA, anche questi altri marcatori dell’IDDM sarebbero
sicuramente tornati utili nel predirre il futuro trattamento insulinico in pazienti con
NIDDM. L’intuizione non tardò ad avverarsi. I GADA furono trovati in una
proporzione di pazienti con NIDDM e la loro presenza si correlava con la difficoltà di
mantenere un soddisfacente controllo metabolico con la terapia convenzionale (es,
dieta e farmaci ipoglicemizzanti orali). Si arrivò così alla conclusione che la
determinazione dei soli GADA avrebbe presto rimpiazzato il più indaginoso dosaggio
degli ICA, al fine di individuare i pazienti con LADA. Tuttavia, l’impressione fu che
questa conclusione fosse un po’ affrettata e non del tutto confortata da dati definitivi,
soprattutto se si teneva conto che i vari studi, in cui erano stati dosati solo i GADA in
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pazienti con NIDDM, erano stati condotti su casistiche numericamente piccole, molto
raramente i dosaggi autoanticorpali erano stati condotti in cieco e, nella maggior
parte dei casi, i pazienti venivano selezionati con uno stato metabolico ormai
scompensato, e quest’ultimo criterio di scelta chiaramente introduceva un bias
confondente. Per arrivare a conclusioni valide, capaci cioè di indicare alla comunità
diabetologica quale dei due dosaggi, i GADA o gli ICA, fosse il più idoneo nel
predirre la futura insulino-dipendenza nel NIDDM, si avvertì la necessità di avere a
disposizione dati che emergessero da uno studio prospettico di grosse dimensioni,
che escludesse il più possibile i vari bias confondenti, di cui certamente peccavano
gli studi precedenti.
L’‘UK Prospective Diabetes Study’ (UKPDS), iniziato da Robert Turner ad Oxford
una decina di anni fa, offriva le migliori garanzie per risolvere il dilemma, (oseremmo
dire, shecksperiano, “ICA o non ICA’, ‘GADA o non GADA’), di quale fosse il test di
elezione per l’identificazione dei LADA nel NIDDM. L’UKPDS seguiva un protocollo
che prevedeva di reclutare tutti i pazienti al momento della diagnosi di NIDDM, di
classificarli da un punto di vista clinico, di monitorarli ad intervalli regolari per i
classici parametri ematochimici, metabolici e di funzionalità beta cellulare, e di
valutare a distanza di 6 anni l’effetto della terapia convenzionale (dieta e farmaci
antidiabetici orali), rispetto alla necessità di introdurre la terapia insulinica per
mantenere un controllo metabolico il più possibile ottimale. Un materiale così ben
catalogato offriva quindi la possibilità non solo di quantificare la presenza degli ICA
e/o dei GADA, ma soprattutto il loro valore predittivo, calcolato sia singolarmente che
in combinazione.
I sieri di 3.672 pazienti con NIDDM neodiagnosticato, di età compresa fra 25 e 65
anni, furono analizzati per la presenza di ICA e GADA. La determinazione degli ICA
fu eseguita nel nostro laboratorio di Londra, mentre quella dei GADA fu eseguita a
Melbourne, nel laboratorio di Paul Zimmet. Entrambi i laboratori eseguirono le
determinazioni dei due autoanticorpi in cieco. I risultati ottenuti mostrarono che circa
il 16% dell’intera coorte possedeva almeno uno dei due autoanticorpi. La presenza
di entrambi gli autoanticorpi si associava a un body mass index (BMI) più basso, ad
un’iperglicemia più severa e ad una compromissione della funzione beta cellulare più
marcata, soprattutto nei soggetti in età avanzata. Anche la prevalenza dei due
autoanticorpi non è risultata uniforme nelle differenti fasce d’età, ma si è registrata
una frequenza più elevata nei pazienti di età inferiore a 35 anni (35%) e una più
bassa in quelli con più di 55 anni (9%), mentre entrambi gli autoanticorpi erano
presenti rispettivamente nel 20% e nel 2% dei pazienti appartenenti alle due
differenti fasce d’età. Va tuttavia sottolineato che, in numero assoluto, la maggior
parte dei casi con una positività autoanticorpale era nel gruppo di età più avanzata.
Anche il valore predittivo dei due autoanticorpi nel determinare il rischio di un
precoce trattamento insulinico, calcolato sia sulla presenza del singolo autoanticorpo
che sulla loro combinazione, è risultato dipendente dall’età dei pazienti.
Nei pazienti d’età inferiore ai 45 anni, gli ICA o i GADA erano individualmente dei
marcatori affidabili per predirre il futuro trattamento insulinico e la loro associazione
aumentava di poco il loro potere predittivo. Nei pazienti in età superiore ai 45 anni, la
migliore predittività dell’insuccesso della terapia convezionale era dato dalla
presenza di ICA e GADA simultaneamente presenti nello stesso paziente, ma
diminuiva invece di molto quando questa fosse stata calcolata in base alla presenza
di uno solo dei due autoanticorpi.
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In conclusione, l’UKPDS ha dato valide indicazioni riguardo alla modalità di
screening che dovrebbe essere applicata ai pazienti con NIDDM alla diagnosi, al fine
di individuare con anticipo i potenziali pazienti con IDDM latente. Se da una parte lo
studio ha confermato il ruolo predittivo degli ICA e dei GADA sul futuro trattamento
insulinico nell’IDDM, dall’altra ha evidenziato che la determinazione di più specificità
autoanticorpali rappresenta la strategia più sicura ed efficace per cogliere questo
obiettivo, soprattutto nei pazienti in età più avanzata.
Lo studio deve ora essere completato, allargandolo al dosaggio degli altri
autoanticorpi anti-isola pancreatica (IAA, IA-2icA, Ia-2bA), alla tipizzazione HLA e
alla misurazione di altri autoanticorpi organo-specifici. In questo modo, si potranno
ottenere ulteriori utili informazioni circa la storia naturale dell’IDDM latente
nell’ambito del NIDDM e della sua possibile relazione con la poliendocrinopatia
autoimmune, e disegnare così nuovi modelli di predizione e prevenzione sempre più
attendibili ed efficaci, come nel caso dell’IDDM in età giovanile.
Ringraziamenti
Sin dal suo inizio, il progetto ‘IDDM-Sardegna’ ha usufruito del generoso supporto
della ‘Autoimmune Diseases Charitable Trust’ (ADCT), della ‘Associazione Sarda
per lo Studio e la Ricerca dell’IDDM in Sardegna’ (ASRIS), del Ministero della Sanità
Italiano, dell’Istituto Superiore di Sanità e della British Diabetic Association.
Si ringraziano anche le seguenti Istituzioni per il loro altrettanto generoso supporto
allo stesso progetto:
Bayer Diagnostic-Italia (Milano), Glaxo Wellcome (Londra), Laboratori Guidotti
(Pisa), Lifescan-Italia (Milano), Novo-Nordisk (Copenhagen), Banco di Roma (Filiale
di Londra).
Lo studio immunologico nell’ambito del ‘UKPDS’ è stato supportato dalla Wellcome
Trust (Londra).
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