- FRANCESCO GIUSEPPE BORRI
- Medico Alchimista del secolo XVII, Incisione di
P. Van Schuppen dal dipinto di F. Ovens
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- Porta Alchemica
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La ricostruzione della "Porta Alchemica" o "Porta Magica" nei giardini
di Piazza Vittorio
- La Porta Alchemica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica
o Porta dei Cieli, è un monumento edificato tra il 1655 e il 1680 da Massimiliano
Palombara marchese di Pietraforte (1614-1680) nella sua residenza, villa Palombara, sita
nella campagna orientale di Roma sul colle Esquilino nella posizione quasi corrispondente
all'odierna piazza Vittorio, dove oggi è stata collocata.
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- La Porta Alchemica è l'unica sopravvissuta delle cinque porte
di villa Palombara, sull'arco della porta perduta sul lato opposto vi era un iscrizione
che permette di datarla al 1680, inoltre vi erano altre quattro iscrizioni perdute sui
muri della palazzina all'interno della villa.
- LA
PORTA DEI CIELI
- Fortunatamente un altro noto alchimista milanese, Francesco Giuseppe Borri, ha
lasciato indicazioni visibili a tutti per raggiungere i suoi stessi risultati. E'
sufficiente andare a Roma, nei giardini pubblici di Piazza Vittorio Emanuele II e guardare la Porta dei Cieli. Si tratta di
una porta in pietra, fittamente coperta di simboli e iscrizioni. La porta è stata voluta
dal marchese Massimiliano di
Palombara intorno al 1680. Le indicazioni per realizzarla gli sarebbero state
fornite dal Borri, che per anni aveva operato, a Roma, in un laboratorio messogli a
disposizione dal Marchese. Sembra che proprio in quel laboratorio, Borri, abbia conseguito
la Grande Opera. La porta sembra un
enigma insolubile, ricca di scritte latine che tradotte suonano come: il drago
custodisce l'ingresso dell'orto magico delle Esperidi e, senza Ercole, Giasone non avrebbe
gustato le delizie della Colchide, il tutto accompagnato da simboli planetari e chimici.
Il senso di tutto questo lo si trova, forse, sul gradino ai piedi della porta dove, accanto al
complesso simbolo che gli iniziati chiamano vetriolo, c'è scritto "E' opera occulta
del vero saggio aprire la terra affinché generi salvezza per il popolo". Accanto
c'è una scritta in latino che dice "SI SEDES NON IS" che tradotto suona come: "se
siedi, non vai". La stessa scritta, letta al contrario, significa invece: se non
siedi, vai. Inutile dire altro. Gli iniziati avranno capito.
Nello stemma del Borri vi sono altri simboli
significativi; due superiori circolari, e due inferiori ottagonali.
1. (in alto a sinistra) Arcere che
colpisce lo stemma del Borri (iscrizione: Fortunae ludibrium e Dumludit luditur ipsa)
2. (in alto a destra) Tritone posto
su di una fontana (iscrizione: Artis
miraculum e Ipsa suas fons spagirit aquas)
3. (in basso a sinistra) Il Sole e
la Luna al di sopra delle nuvole (iscrizione: Naturae prodigium e In geminos formantur
lumina soles)
4. (in basso a destra) Un Uragano (in mare un vento furioso
solleva una tromba d'acqua e capovolge un veliero, in terra un fulmine colpisce un
campanile) (iscrizione: Virtutis exemplum e Non te qui caetera vincit impetus)
Nello stemma si legge anche: Quid mirum si mira patrat mirabile - Naturae omni parae se superantis
opus.
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- Giuseppe Francesco Borri, tra fornelli e Salamandre
- by Massimo Marra
- Giuseppe Francesco Borri, tra fornelli e Salamandre
- Di Massimo Marra
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"Non si è mai dato corpo che non sia
materiale, e se i chimici avessero trovato il segreto di trarre ed estrarre tutta la
materia dal corpo, ne sarebbero più pregiati che dogni altro segreto"
G. F. Borri
Controversa figura di alchimista e profeta
messianico, nasce a Milano nel 1630, figlio di una Savinia Morosini che muore di parto
dandolo alla luce, e di Branda Borri, noto e valente medico milanese.
Il suo casato, stando anche a quanto afferma lui stesso, discendeva da Afronio Burro,
prefetto del pretorio sotto Claudio, morto avvelenato da Nerone, ed il cognome burrus
deriva da urus, che in latino volgare è il bue selvatico, ossia lanimale
rappresentato nello stemma di famiglia.
Nel 1644, insieme al fratello minore, entra nel Seminario Romano, retto dai gesuiti,
distinguendosi subito per prontezza dingegno, vastità di interessi culturali e
spirito di indipendenza.
E in seminario, probabilmente, che il giovane Borri entra in contatto con quelle
dottrine alchemiche e cabalistiche che ben diffuse dovettero essere anche in ambienti
ecclesiastici, nella Roma del tempo . Nel seminario, tra gli altri, aveva insegnato
Athanasius Kircher, il grande cabalista gesuita autore dellOedipus Aegyptiacus e
del Mundus Subterraneus. Come già per i Domenicani e per i Francescani alchimisti
del medioevo, anche tra i gesuiti del XVII sec. erano dunque assai diffuse le arti
ermetiche e cabalistiche.
Il forte spirito di indipendenza e linsofferenza verso lautorità clericale
deteriorano rapidamente i rapporti con i suoi insegnanti ( al culmine di questo
deterioramento il Borri capeggia addirittura una ribellione collettiva dei seminaristi,
che porterà alla sostituzione del rettore), e nel 1650 il Borri viene espulso dal
seminario, cominciando tra i numerosissimi pellegrini dellAnno Santo, la propria
attività di medico e di alchimista. In questo periodo cominciano i primi contatti col
marchese Massimiliano Palombara, alchimista egli stesso, e , nel 1653, entra al servizio
in qualità di medico e alchimista presso il conte Federico Miroli. In quegli anni
comincia anche la sua opera di propaganda, per metà messianica e per metà politica,
volta ad un recupero della purezza evangelica della religione, che, nella visione di
Borri, è la base stessa di ogni scienza ed investigazione.
Il fervore religioso e messianico, permeato di spiritualità quietista, richiama intorno a
lui i primi seguaci, e lo rende anche protagonista di tafferugli con le guardie
pontificie.
Nelle visioni di Borri, condite di estasi visionarie ed eventi miracolosi, lintero
mondo (cristiano e non) avrebbe dovuto essere conquistato e retto da una teocrazia papale
che avrebbe dovuto mediare lavvento di un nuovo regno edenico terrestre, una nuova
età delloro, di trionfo dei valori di un cristianesimo rinnovato e universale.
A capo di tale teocrazia il Borri vedeva il Sommo Pontefice, e lui stesso si considerava
(almeno stando alla documentazione inquisitoria successiva ) Prochristus , profeta
e condottiero di un tale avvento.
E questo il periodo in cui si inizia a formare la sua leggenda personale di
alchimista dalle misteriose conoscenze e di visionario dalloscura potenza. E
proprio a questo periodo che si ascrive abitualmente la leggenda che vede come
protagonisti il Marchese Palombara ed un misterioso Pellegrino.
Una mattina del 1656, la tradizione vuole che nel giardino del nobile Palombara penetri
uno sconosciuto intento a raccogliere erbe, il quale, condotto innanzi al marchese dalla
servitù, dichiara dessere alchimista, di essere a conoscenza delle ricerche
alchemiche del Marchese e di essere in grado di mostrargli la effettiva realizzabilità
dellopera trasmutatoria senza alcuna richiesta o contropartita, ed inoltre di essere
anche a sua volta interessato a conoscere quali fossero i metodi e le ricerche del
Palombara.
A questultimo, fervente ed appassionato alchimista, secondo la nostra storia non
dovette parer vero di introdurre la misteriosa figura nel suo laboratorio alchemico.
Il misterioso pellegrino, dopo aver armeggiato sotto gli occhi attoniti del Palombara,
domanda a questultimo ospitalità per la notte in una camera nei pressi del
laboratorio per poter sorvegliare lopera, e si fa lasciare le chiavi del laboratorio
promettendo che, ad opera ultimata non avrebbe fatto mistero alcuno alle domande del
Marchese, che per il momento però avrebbe dovuto garantirgli solitudine e quiete.
E sicuramente un Palombara impaziente e trepidante quello che la leggenda vuol
dipingerci bussare di buon ora, al mattino seguente, alle porte chiuse del laboratorio
così come a quelle della stanza del pellegrino. Questultimo era sgattaiolato via da
una finestra nottetempo, lasciando solo, nel laboratorio attiguo, un crogiolo rovesciato
con in terra una striscia doro puro, ed un fascicolo di carte con appunti e simboli
ermetici sulla grande opera. Sono proprio questi, i simboli che il Palombara fece scolpire
in alcuni punti della sua villa, e, soprattutto, sulla famosissima porta ermetica, unica
sopravvissuta dei fasti architettonici di villa Palombara, famoso e discusso monumento
ermetico italiano.
Per la tradizione, naturalmente, il misterioso alchimista era il Borri, ed alle sue carte
sono dunque ispirate le complesse simbologie della porta ermetica.
In realtà, nella Roma dedita a studi ermetici, leggende a parte, è impensabile che i due
personaggi, ormai entrambi di una certa notorietà, non intessessero rapporti sulla base
dei comuni interessi ermetici, rapporti che, nelle alterne vicende del Borri,
continueranno nei decenni a venire.
Nel 1655 il Borri conosce e , probabilmente frequenta, la regina Cristina di Svezia ed il
suo entourage. La neoconversa regina cattolica, aveva abdicato al suo regno e veniva a
stabilirsi a Roma con il suo seguito. Qui, in un gabinetto attrezzato a laboratorio, la
coltissima Cristina, appassionata cultrice di alchimia, dava ospitalità ad alchimisti e
cabalisti di vario valore e provenienza.
Proprio in quellanno , nel frattempo, muore il papa Innocenzo X, e, contro tutte le
speranze del nostro alchimista visionario, gli succede un personaggio assai vicino alla
controriforma, tuttaltro che incline a cambiamenti ed a messianici rinnovamenti, il
cardinale Fabio Chigi, senese, che assume il nome di Alessandro VII.
Nel 1656 a Roma scoppia la peste (che si diffonde rapidamente in tutta lItalia
centromeridionale ed a Genova). Cristina abbandona precipitosamente la città, ed il Borri
segue rapidamente il suo esempio, ritornando nella natia Milano, dove Branda Borri era
pronto ad accoglierlo. Qui, tuttaltro che domo, egli stringe prontamente contatti
con lambiente quietista ben diffuso e radicato in tutta la Lombardia, che si
raccoglie intorno alla chiesa di S. Pelagio intorno al carisma profetico di Giacomo
Filippo Casola, un popolano laico ben presto accusato dallinquisizione di eresia,
che poco dopo muore in carcere. Il Borri ben presto diviene figura centrale del movimento
milanese (come già lo era diventato in quello romano) ed il fervore della predicazione
culmina con una pubblica manifestazione sul sagrato del Duomo di Milano nel 1658.
Le conseguenze della notorietà non tardano ad arrivare, ed il Borri viene prontamente
incriminato per eresia e veneficio (questultima accusa in riferimento alle sue
pubbliche e propagandate conoscenze alchemiche). Nel contempo finiscono nelle mani
dellinquisizione i suoi seguaci più accesi, per lo più reclutati nel basso clero,
e molti di essi giovani e ferventi quanto lui.
Inizia qui un periodo di grandi amarezze per il Borri, ma inizia anche una peregrinazione
nellEuropa seicentesca che lo porterà a fama ed onori di rara portata, nonché ad
una triste conclusione della sua avventurosa esistenza.
Nel 1659 egli viene chiamato a presentarsi davanti allInquisizione romana, mentre
quella milanese è ancora occupata a processare i suoi seguaci. Datosi prontamente alla
fuga in Svizzera, nel 1660 egli viene raggiunto dalla notizia della morte del padre, e,
nel 1661, da quella della condanna in contumacia dellInquisizione romana e
dallesecuzione della pubblica abiura dei suoi seguaci milanesi.
Dopo un primo momento in cui risiede in Engandina, egli si trasferisce ad Innsbruck, dove
riprende con buon successo la sua attività di medico.
Nel frattempo, nel Gennaio 1661, leffigie del Borri, dopo la pubblica lettura della
sentenza, viene portata in pubblica processione in Campo de Fiori, nello stesso
luogo ove 60 anni prima era stato giustiziato Giordano Bruno, e qui viene appiccata alla
forche ed indi bruciata insieme agli scritti dellesule fuggitivo.
Questi, nel frattempo si era trasferito a Strasburgo, dove lambiente protestante lo
accoglie immediatamente in maniera entusiasta. Intorno al Borri , si crea una schiera di
entusiastici ammiratori, che ne magnifica le doti di medico e iatrochimico, egli diviene
così medico noto e ricercato nellambiente nobiliare locale, mentre la sua fama
comincia a crescere con estrema rapidità. Si trasferisce successivamente in Olanda, ad
Amsterdam, dove inizia il suo periodo aureo ed in cui la sua fama di terapeuta ed
alchimista consolida la sua dimensione europea, e riconoscimenti regali ed ufficiali ne
consacrano luniversale notorietà.
Da ogni parte dEuropa principi e mercanti accorrono a consultare il prodigioso
medico alchimista, il quale, secondo la tradizione, si mostrava nel contempo prodigo di
cure per poveri e sofferenti, menando contemporaneamente vita pubblica splendida e
fastosa. Egli estende i suoi interessi e la sua fama, oltre che alla medicina ed
allalchimia, a svariati campi dello scibile : magia, cosmesi, ingegneria. A
questo periodo, si fa risalire lincontro col celebre scienziato ed alchimista danese
Olaus Borrichius, ad Amsterdam per i suoi studi, che diviene ammiratore entusiasta del
Borri e della sua scienza. Al Borrichius, Borri dedicherà anche un libro (Chymiae
Hippocraticae Specimina Quinque , Colonia 1664), ed è forse proprio al Borrichius che
si ispira il personaggio del sapiente cabalista (il Gran Danese) che ritroviamo ne La
chiave del Gabinetto (Ginevra 1681). In questi anni, il Senato di Amsterdam gli dona
la cittadinanza onoraria, scritti elogiativi delle sue miracolose guarigioni circolano per
lEuropa, ma , proprio allapice del suo successo, sommerso da i debiti di una
vita fastosa e la probabili manovre di una classe medica invidiosa e subdola, è costretto
ad una rapida fuga, per sfuggire alla presa delle autorità.
Il Borri ripara a Copenaghen, come alchimista alla corte di Federico III, che lo
sovvenziona largamente. In Danimarca, patria del Borrichius, coperture ed amicizie non
possono mancargli. Egli, inoltre, è ormai preceduto da una solida reputazione di
scienziato. Nel frattempo, altre sovvenzioni arrivano dallex regina Cristina, in
quegli anni ad Amburgo, sempre più interessata ai misteri della Pietra Filosofale. Alla
corte di Federico III il Borri recupera ed accresce nuovamente fama ed onori, divenendo
uno dei più fidati consiglieri del re.
Alla morte di Federico, nel 1670 però, con lascesa al trono del figlio Cristiano V,
la sua fortuna a corte comincia a declinare, ed il Borri decide di abbandonare la
Danimarca e di dirigersi in Turchia, ma durante il viaggio, in Moravia, viene arrestato,
e, dietro pressione pontificia, consegnato dallallora imperatore dAustria
Leopoldo I , nelle mani del Vaticano, sul cui seggio pontificio sedeva allora Clemente X.
Dapprima in odore di condanna a morte, e successivamente condannato ad una più mite pena
di carcere a vita, al Borri non viene risparmiata la pena già comminata ai suoi seguaci,
con pubblica abiura ed atto di penitenza. Rimasto in carcere fino al 1678, il Borri,
grazie alle pressioni delle sue nobili amicizie (in particolare grazie
allambasciatore francese duca DEstrées, guarito dal Borri con una speciale
dispensa del pontefice, che gli aveva concesso di visitare il malato), riesce ad ottenere
una sorta di regime di semilibertà, sistemato in una struttura a Castel S. Angelo, in cui
gli è perfino permesso di attrezzare un laboratorio e continuare i suoi studi, di uscire
per frequentare case patrizie e per esercitare la sua professione.
In questo periodo egli riprende la frequentazione dei suoi antichi amici, il Palombara e
la regina Cristina, e la sua stella sembra riprendere, a dispetto della vergogna della
condizione di condannato, lantico splendore nei salotti della corte romana, dove la
sua fama di guaritore e taumaturgo misterioso circola liberamente.
Nel 1670 Cristina di Svezia muore, ed al soglio pontificio viene elevato Innocenzo XII, il
quale elimina subito ogni privilegio al condannato, il quale viene segregato a Castel S.
Angelo nel 1691, e dove la malattia lo spegnerà nel 1695. Affetto da febbri, il grande
medico aveva prescritto a sé stesso corteccia di china, la cura più avanzata e centrata
disponibile al tempo. Ma la corteccia arrivò troppo tardi, ed il 16 di Agosto le febbri
sconfiggeranno la fibra dellormai sessantottenne Borri.
Lavventuriero, il profeta, lalchimista, sono stati definiti, per complessità
e vicissitudini , precursori della figura misteriosa di quel Cagliostro che, pochi decenni
dopo, attraverserà con ancora più fulgida ed universale notorietà lEuropa.
La Gabala e lAlchimia
Le due lettere che presentiamo, sul commercio cabalistico col
mondo Elementare , per il loro carattere di narrazione fantastica e magica, abbisognano di
qualche parola di commento.
La Chiave del Gabinetto, da cui stralciamo le lettere che presentiamo in questa
sede, è quasi totalmente un plagio, se si eccettuano, probabilmente, le lettere a
contenuto più propriamente alchemico che Borri non avrebbe avuto alcuno scopo di
plagiare.
Come la voce curata da S. Rotta del Dizionario Biografico degli Italiani non manca di
sottolineare, le prime due lettere della Chiave sono una versione pressoché letterale del
Conte di Gabalì, mentre lultima è "...una traduzione fedele di De
lâ me des Betes di A. Dilly, uscita a Lione nel 1676" (Dizionario
Biografico degli Italiani cit., ed. Treccani).
Sia il Conte che La Chiave, sono dunque pervasi dallo stesso stile
umoristico e sornione, stile che, se non fatichiamo ad attribuire al Montfaucon De Villars
(figura di avventuriero, anchegli pervaso in gioventù da ansie messianiche e
riformatrici, invischiato in poco edificanti delitti familiari ed in poco chiare faccende
di eredità, che gli valsero una condanna a morte dallautorità civile, sentenza mai
eseguita poiché il Montfaucon morirà assassinato in strada in circostanze misteriose)
non ci pare nemmeno estranea ad un Borri che, con la sua figura straordinariamente
complessa ed indecifrabile continua a distanza di secoli a far parlare di sé.
Il pretesto per lesposizione delle dottrine magiche ed alchemiche, nelle due
epistole sugli elementari che presentiamo in questa sede, sono i colloqui tra il
protagonista (lautore, equilibrato e fedele sostenitore delle dottrine di Santa
Madre Chiesa) ed un personaggio misterioso, gran cabalista, Danese nella Chiave, Tedesco
nel Conte. Naturalmente, il buon protagonista tenta di convincere lineffabile
gabalista ad abbandonare le sue assurde teorie e le sue diaboliche pratiche, ma il
cabalista, dal canto suo sciorina allinterlocutore le più incredibili rivelazioni
sulle entità elementari e sulle relazioni che i cabalisti hanno con esse, ed i più
audaci concetti magici e cabalistici.
In realtà, per Montfaucon come per Borri, i rispettivi tedesco e danese sono degli alter
ego, che, liberi dalle pastoie del controllo inquisitoriale, possono liberamente esporre
dottrine e principi che in altra forma, con assunzione diretta di responsabilità
dellautore, potrebbero essere foriere di grossi guai. Le lettere ed il loro
contenuto dialogico, sono dunque un pretesto per esporre dati tradizionali di una visione
magica della realtà che, vogliamo sottolineare in queste note, era non priva di relazioni
con parte dellalchimia professata tra XV e XVII sec.
Concentriamoci dunque sulla Chiave e sul Borri.
Lalchimia del Borri è inquadrata in una concezione magico-cabalistica della
realtà, popolata di entità ultramondane ed immateriali, di Ondine, Salamandre e Gnomi,
la cui amistà è parte del lavoro del filosofo naturale, il quale proprio
dallobbedienza di queste entità può ricavare conoscenza e potere. Senza tener
conto della profondissima commistione di magia ed alchimia che anima le pagine del Borri
(ma di tutta una tradizione di alchimisti) non si può correttamente interpretare
luniverso e la cosmologia alchemica proposta. Lazione sulla materia, lo
sguardo stesso dellinvestigazione alchemica, risentono fortemente di tali caratteri.
Non si commetta lerrore di considerare che tale retaggio magico-cabalistico si sia
esaurito proprio nei suoi residuali esponenti seicenteschi. Nel Settecento, il De Sangro,
con interesse certamente non letterario, fu editore di una versione italiana del Conte di
Gabalì, ed ancora nel 900 molte organizzazioni iniziatiche di stampo ermetico
raccolgono la tradizione espressa nelle opere del grande Alchimista Milanese.
In realtà la Cabala del Borri è cosa ben distante dalla originaria tradizione ebraica da
cui mutua il nome, ed è forse molto più vicina a sopravvivenze pagane di culti che nel
XVII secolo dovevano forse essere ancora ben vivi nelle tradizioni folkoriche e della
religiosità popolare di gran parte dEuropa.
Gershom Scholem, in un saggio dedicato ai rapporti tra alchimia e Kabbalah (Alchimia e
Kabbalah, trad. di Marina Sartorio 1995, Einaudi) ben descrive il carattere della
presunta cabala che emergeva dal complesso panorama degli scritti ermetici tra XVI e XVII
secolo :
"Il nome della misteriosa disciplina [ ... ] divenne parola dordine di tutti i
circoli interessati alla teosofia e alloccultismo nellepoca del Rinascimento
ed in quella successiva del Barocco. Divenne una specie di bandiera, dietro la quale -
poiché non vera da temere alcun controllo da parte dei pochi veri cultori della
kabbalah - praticamente tutto poteva offrirsi al pubblico : da contenuti
autenticamente ebraici a meditazioni solo vagamente ebraizzanti di profondi mistici
cristiani fino agli ultimi prodotti da fiera della geomanzia e della cartomanzia. Il nome
Kabbalah, con il brivido reverenziale che incuteva, comprendeva tutto. Anche i più
estranei elementi di folklore occidentale, anche le scienze del tempo in qualche modo
orientate verso loccultismo, come lastrologia, lalchimia, la magia
naturale, diventavano kabbalah.....".
Tale considerazione è vera ancor oggi, se pensiamo al nome di cabala fonetica con
cui alcuni alchimisti moderni (Fulcanelli ed allievi) designano il bellissimo gioco
simbolico di etimi assonanti che utilizzano con tanta frequenza.
In effetti, la gabala di Borri ha poco o niente a che fare con la kabbalah ebraica.
Non che questa fosse del tutto ignota e priva di esponenti italici, così come non ignota
doveva essere lalchimia nei circoli ebraici e cabalistici (un secolo prima, proprio
la Milano di Borri aveva visto il fiorire di Mordecai De Nello, un famoso alchimista ebreo
che viaggiò per mezza Europa).
Se si eccettua la credenza di fondo nella possibilità di accoppiarsi e procreare con
entità incorporee (si pensi, nella tradizione ebraica, ai Lillim, i figli demoni
che Lilith partorisce rubando il seme disperso delluomo) del resto comune a diverse
tradizioni, il fondo che si scorge tra gli elementari di Borri è invece eminentemente
magico.
Luniverso di Borri è popolato di spiriti elementali che animano il fuoco, la terra,
lacqua e laria. Poco più di un secolo prima, il De occulta Philosophia di
Cornelio Agrippa (testo di cui è possibile ritrovare più di una eco nella Chiave
del Borri) dopo aver elencato oltre una trentina di diverse specie di demoni mondani ed
elementari, si perita di affermare che "I platonici opinano esservi tante legioni di
demoni di questo terzo genere per quante stelle esistano in cielo...." (La
Filosofia occulta o la Magia, trad. di A. Fidi, ed. Mediterranee).
Daltro canto, di questa gabala magica, che caratterizza opere come Il
conte di Gabalì o La Chiave del Gabinetto, troviamo eco puntuale anche in
scritti attribuiti a Paracelso, a tutti gli effetti considerato il padre
dellAlchimia rinascimentale. In effetti, Borri cita dichiaratamente Paracelso, e lo
utilizza a piene mani. Allo scopo di identificare lantecedente culturale più
significativo dellopera del Borri, ci soffermeremo brevemente sulle concezioni
paracelsiane, citando testualmente uno scritto tratto dagli Scritti Alchemici e magici (
1991 ed.Phoenix).
"Mi propongo dintrattenervi sulle quattro specie desseri di natura
spirituale, cioè le Ninfe, i Pigmei, i Silfi e le Salamandre ; a queste quattro
specie, per la verità, bisognerebbe aggiungere i Giganti e parecchie altre. Questi
esseri, benché abbiano apparenza umana, non discendono affatto dAdamo........Si
accoppiano tuttavia alluomo, e da questa unione nascono individui di razza
umana" . Nella visione paracelsiana vi sono due nature : una è quella umana,
spessa, palpabile e sensibile, mortale, laltra quella spirituale, impercettibile,
eterna. Tra queste due vi è la natura intermedia, partecipe delle altre due, cui
"...appartengono gli esseri che sono leggeri come gli spiriti e che generano come
luomo...volano come gli spiriti.....evacuano, bevono, hanno carne e ossa alla
maniera degli uomini. Luomo ha un anima, lo spirito non ne ha bisogno ;
le creature in questione non hanno affatto unanima e tuttavia non sono simili agli
spiriti : questi non muoiono, quelli muoiono....Sono limmagine grossolana
delluomo come luomo è limmagine grossolana di Dio"
Per il Grande Teofrasto "...ogni creatura è appropriata allelemento nel quale
è immersa ; gli Ondini, concepiti per vivere nellacqua, si stupiscono di
vederci vivere nellaria....Nello stesso modo gli Gnomi traversano senza alcuna
difficoltà le rocce più dense, come noi traversiamo laria, perché la terra è il
loro caos..." Poiché più sottili di noi, Ondine, Silfi e Salamandre possono
tollerare il nostro ambiente, mentre noi moriamo nel loro. Daltro canto, niente
impedisce agli Gnomi di passeggiare per i nostri boschi, mentre noi moriremmo soffocati
dalle spesse rocce che costituiscono il loro ambiente naturale. Paracelso continua dicendo
che " ...questi esseri potrebbero avere rapporti carnali con gli uomini e averne
figli. Questi bambini sono di razza umana perché il padre, essendo uomo e discendendo
dAdamo, gli dona unanima che li rende simili a lui ed eterni. E credo che la
femmina che riceve questanima con il seme è come la donna, riscattata dal Cristo.
Noi non giungiamo al regno divino se non in quanto comunichiamo con Dio. Lo stesso, questa
femmina non acquisisce un anima fintanto che non conosce un uomo [ ... ] ecco dunque
ancora una ragione dellapparizione di questi esseri : cercano il nostro amore
per elevarsi, come i pagani ricercano il battesimo per acquisire unanima e rinascere
con il Cristo" Dopo averci comunicato che gli gnomi, tra le altre cose, hanno a
disposizione molto denaro, disponendo delloro sotterraneo, Paracelso ritorna sui
rapporti tra elementari e uomini, e ci dice che se un uomo tradisce una Ninfa senza il suo
permesso, questa riappare e lo uccide.
Tali elementari, nelleconomia della creazione, hanno un ruolo preciso :
"...Dio ha fatto questi esseri per dare delle guardie alle sue creazioni. E
così che gli Gnomi sorvegliano i tesori della terra, metalli e altri ;
glimpediscono di vedere la luce prima del tempo fissato......Le Salamandre
sorvegliano i tesori delle regioni ignee, i Silfi i tesori che portano i venti, gli ondini
quelli che si trovano nellacqua. E nella regione ignea che sono fabbricati, a
cura delle Salamandre, tutti i tesori, per essere in seguito sparsi e mantenuti in altri
luoghi."
Con ciò, abbiamo rintracciato a pieno diritto il riferimento dei dati tradizionali
utlizzati da Borri e del Montfaucon de Villars. Ci rimane da inquadrare il modo in cui
tali dati si fondevano con luniverso mitico e la ricerca interiore
dellalchimia, il rapporto complesso che lega lapparenza superstiziosa della gabala
di Borri al cammino eroico di rigenerazione che deve compiere lalchimista. In poche
righe, a questo proposito, un altro grande alchimista ed ermetista italiano, Cesare Della
Riviera, ci offre una interessante chiave di lettura. Nel Mondo Magico de gli Heroi
(1605), che citiamo nella versione curata da Evola., nellambito della realizzazione
magico- alchemica compiuta dallheroe il Della Riviera accenna alla percezione
spirituale degli aspetti occulti della natura. Il corsivo è nostro :
"Parimenti rossa è la Terra magica, e rosso ne è altresì il sangue, come si disse
altrove. Questo sangue è la pinguedine, cioè il limo terreo di cui Iddio, nostro primo
padre ci compose, e del quale consta il nostro piccolo Mondo. Quanto poi alle varie
forme che si celano in questo, esse sono la tanto ammirata invisibilità dei maghi. Nondimeno
è verissimo che la vera e santa Magia sarebbe in parte inferiore a quella falsa e
diabolica, se essa non giungesse a rendere visibili le suddette forme [ ... ] Ma poiché
ogni dono che venga dallalto dal Padre dei Lumi è - come attesta il glorioso
Giacomo - perfetto [ ... ] come tale esso potrà rivelare perfettamente le varie forme
contenute che si mostrano non come prestigiose e apparenti, ma come reali, consistenti
e palpabili...."
Per ottenere ciò, leroe dovrà faticare assai più che
non utilizzando la magia diabolica e falsa, che si serve però di demoni fraudolenti.
Dopo aver descritto le metamorfosi magiche che la materia subisce sotto gli occhi
delleroe ermetico, Della Riviera continua :
"Finalmente nel nostro Mondo magico non solo si manifestano le specie corporee, ma
si rendono visibili anche quelle incorporee. Il detto mondo viene formato
dalleroe secondo lordine che segue.
Dalla materia prima, vale a dire dalla prima terra magica, egli trae con mirabile
artificio spagirico e con sottile arte pironomica tutte le specie elementali e
corruttibili : il Mondo elementare. Da questo vengon poi tratte con esattissima
diligenza le specie celesti e incorruttibili [ ... ] formate tutte le specie elementari e
celesti si viene per ultimo alla formazione delle altre, interamente perfette, che, [ ...
] posson dirsi specie intellettuali e menti magiche disciolte.".
Il contatto palpabile con le specie elementari è dunque parte del procedimento
alchemico, frutto di un "mirabile artificio spagirico" e "sottile arte
pironomica", percezione spirituale interna allitinerario individuale di quella separazione
dei misti che è alla base della grande opera.
Silfi, gnomi, ondine e salamandre sono dunque precipitati simbolici, ipostasi individuate
dellessenza degli elementi che lalchimista- mago purifica, prodotti reali dellopera
ermetica, del contatto dellartefice con la materia prima. Essi sono palpabili
come palpabile è il mercurio fissato dallazione ignea dello zolfo alchemico, come
palpabile è lo splendore invisibile che guida lartista verso la pietra, come
palpabile effettivamente è, per lalchimista, la fitta rete di correlazioni ed
analogie che unisce il visibile allinvisibile, il solido alletereo.
In chiusura di questa breve parentesi dedicata a scoprire il ruolo delle bellissime Ondine
tra le storte e gli alambicchi del controverso alchimista milanese, vogliamo chiudere con
parole tratte da un articolo datato 1957 (ora disponibile in versione italiana sul sito
ZENIT), firmato da un moderno alchimista, Eugene Canseliet, ed uscito nel n° 11\12 de La
Tour Saint Jaques :
"...Più precisamente la Magia e lAlchimia formano con lAstrologia i tre
rami nati dal tronco centrale, ossia dalla scienza Universale, emanazione reale
dellindivisibile Verità. Se le immaginiamo disposte a tridente, la magia
corrisponde allasta mediana [ ... ] La Magia, dobbiamo insistere, è
allorigine dellalchimia e dellastrologia e presiede obbligatoriamente a
tutte le loro operazioni, poiché essa ne costituisce il motore essenziale ed
imponderabile...".
E di recente, ancora, per coloro che dovessero pensare che le Ninfe e le Salamandre siano
reperti di ermetisti di un tempo lontano, una Ninfa guidava con dolcezza i lavori di
Cyliani nell Hermes Devoilé. Di questa Ninfa alchemica, nella traduzione di
Stefano Andreani (apparsa in appendice a Alchimia : appunti per una semiologia del
sacro-1976 ERI) riportiamo infine il saluto con cui si diparte dallaffranto
Cyliani :
".......Mi gettai ai suoi piedi per ringraziarla di un simile beneficio ed umilmente
ringraziai anche lEterno di avermi fatto superare tanti pericoli.
Poi ella mi disse addio, aggiungendo : Non mi dimenticare !
Disparve, e la sua fuga mi fece provare una pena talmente grande che mi
svegliai......"
Al di là di queste forte connotazione magico-cabalistica, lalchimia vera e propria
desumibile dalle opere del Borri non presenta particolarità specifiche, riportando
fedelmente il precipitato di ideologie e tradizioni tipico dellalchimia seicentesca.
Le opere conosciute attribuite al Borri, tra quelle certe, incerte e quelle apocrife
sono :
Lettere di F. B. ad un suo amico circa lattione
intitolata : La Virtù coronata. Roma 1643
Gentis Burrhorum notitia. Argentorati 1660
Iudicium....de lapide in stomacho cervi reperto. Hanoviae 1662
Epistolae duae, 1 De cerebri ortu & usu medico. 2 De artificio oculorum Epistolae
duae Ad Th. Bartholinum. Hafniae 1669
La chiave del Gabinetto del Cavagliere G. F. Borri. Colonia (Ginevra) 1681
Istruzioni politiche date al re di Danimarca. Colonia (Ginevra) 1681
Hyppocrates Chymicus seu Chyniae Hyppocraticae Spcimina quinque a F. I. B. recognita et
Olao Borrichio dedicata. Acc. Brevis Quaestio de circulatione sanguinis. Coloniae 1690
De virtutibus Balsami Catholici secundum artem chymicam a propriis manibus F. I. B.
elaborati. Romae 1694
De vini degeneratione in acetum et an sit calidum vel frigidum decisio experimentalis. in
Galleria di Minerva, II. Venezia 1697
Riferimenti bio-bibliografici sono reperibili in :
- Bornia - La porta magica di Roma - studio storico 1983 Genova
- L. Pirrotta - La porta ermetica, un tesoro dimenticato Roma
1979
- G. Cosmacini - Il medico ciarlatano Bari 1998
Le lettere sono presentate nella versione conforme a quella pubblicata tra il 1910 ed il
1911
sulla rivista Commentarium per le accademie ermetiche (S.P.H.C.I.) diretta
dallermetista napoletano contemporaneo G. Kremmerz. Rispetto a tale versione è
stata alleggerita la sola punteggiatura, per favorire una più agevole fruizione al
lettore moderno.
- Massimo Marra
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